La responsabilità degli enti ex D.Lgs 231/2001 e i Modelli organizzativi ambientali: rapporti tra Modelli organizzativi e certificazioni ambientali

Rivista Calabria Economia, anno 2013, n. 1
Rivista Confindustria Catanzaro Informa, anno XIII, n. 1

Il d.lgs 231 del 2001, recante la "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica" rappresenta una tappa fondamentale nel processo di modernizzazione del diritto penale, ed è lo strumento che viene utilizzato al fine di imputare direttamente alle imprese le condotte illecite compiute dai suoi organi, con la configurazione di un autonoma responsabilità penale, qualora determinate fattispecie delittuose (i c.d reato presupposto) vengano poste in essere dai suoi dipendenti. In tal modo, alla responsabilità da reato addebitabile alla persona fisica quale autore materiale, si aggiungerà quella diretta in capo all'ente, a cui verrà rimproverato, in virtù di una sorta di colpevolezza di organizzazione, di non aver attuato tutte le cautele necessarie idonee all'impedimento del fatto delittuoso. La materia è ovviamente oggetto di vivaci dispute, giacché il riconoscimento di una responsabilità punitiva diretta in capo all'ente deve necessariamente confrontarsi, in particolare, con l'art. 27 della Carta Costituzionale che sancisce il principio della responsabilità penale personale; da ciò deriva il brocardo societas delinquere et puniri non potest in virtù del quale è la sola persona fisica a poter essere considerata quale unico destinatario della sanzione punitiva. Secondo l'evoluzione interpretativa che tende ad estendere la responsabilità penale diretta in capo alla societas, la persona giuridica, invece, è ormai da considerare quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell'interesse dell'ente . Vi è dunque la tendenza, tramite la trasposizione delle caratteristiche tipiche della persona fisica, di dare un tratto di umanità agli organi sociali, che agirebbero esattamente come le persone fisiche che rappresentano, assumendo diritti e obblighi che fanno riferimento all'essere umano . L'intendimento è quello di inquadrare la persona giuridica come normativamente capace di azione. Nel corpus normativo, notevole rilievo viene dato all'aspetto organizzativo dell'azienda, poiché, al fine di restare esente da sanzioni, ad essa viene richiesta una tecnica auto-partecipativa di controllo sostanzialmente nuova per la nostra esperienza giuridica. L'ente dovrà cioè, in una prospettiva di monitoraggio dell'operato dei suoi organi e di sorveglianza della politica aziendale, predisporre i c.d. Modelli di Organizzazione. L'adozione di un Modello organizzativo consentirà all'ente di identificare le aree che nella politica aziendale risultano essere esposte a maggior rischio e, di conseguenza, di applicare i necessari accorgimenti per evitare la commissione di reati da parte dei suoi dipendenti. Il cuore della disciplina prevista dal D.Lgs 231 del 2001 è, dunque, costituito dall'adozione, da parte della compagine societaria, di un Modello organizzativo e gestionale idoneo a prevenire la commissione dei reati presupposti commessi nell'interesse o vantaggio dell'ente. In altri termini, alla societas viene richiesta l'adozione di modelli comportamentali volti ad impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione dei reati individuati nel catalogo del d.lgs 231 del 2001. La funzione del Modello appare evidente: in relazione alla natura e alla dimensione dell'ente, o al tipo di attività svolta, nel protocollo devono essere previste misure idonee a scoprire ed eliminare preventivamente situazioni a rischio reato. La sua omessa predisposizione, ovvero la sua inidoneità a prevenire i reati, porterebbe ad una responsabilità in capo all'ente per i fatti delittuosi commessi dai soggetti apicali o da quelli subordinati. L'eccezione a tale regola si avrà, solo quando i suddetti soggetti hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente il Modello di organizzazione e gestione. In caso di processo a carico dell'ente, l'avvenuta elaborazione dei Modelli organizzativi consentirà all'Autorità giudiziaria di verificare se la società ha previamente e correttamente posto in essere dei processi di controllo interno, idonei a rimuovere i rischi della commissione dei reati per i quali né è prevista la responsabilità. L'esonero dalle responsabilità dell'ente passa attraverso il giudizio di idoneità del sistema interno di organizzazione e controllo, che il giudice penale è chiamato a formulare in occasione del procedimento penale. Dunque, nella formulazione dei modelli, ci si dovrà porre come obiettivo l'esito positivo di tale giudizio di idoneità . Secondo l'art. 6, comma 2, del decreto, il protocollo organizzativo, ai fini della sua efficacia, dovrà: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; f) dopo aver individuato, in seno all'attività dell'ente, i settori produttivi più sensibili, il Modello dovrà prevedere il requisito della trasparenza della contabilità e delle operazioni aziendali. I protocolli organizzativi ed il loro contenuto, dovranno, altresì, essere portati a conoscenza dei soggetti aziendali interessati, allo scopo di evitare che questi ultimi tentino di giustificare la propria condotta, invocando l'ignoranza delle regole dettate nel Modello . Nell'impianto normativo del D.Lgs 231 del 2001 risultano inseriti, tra gli altri, come reati presupposto per la configurazione della responsabilità degli enti, all'art. 25 undecies, anche i reati ambientali. Pertanto, calando la su riferita descrizione nella prospettiva di un Modello finalizzato alla prevenzione dei reati ambientali, essa viene tradotta: a) nell'identificazione dei rischi reato ambientale cui è esposta l'organizzazione; b) nella progettazione di un sistema di controllo in grado di mantenere i rischi ambientali individuati ad un livello accettabile. In linea di principio tutte le aziende sono ipoteticamente a rischio, in quanto, seppur in misura non sempre rilevante, esse sovente agiscono attraverso processi all'interno dei quali, in astratto, non può essere esclusa la commissione di reati ambientali. È ovvio, però, che alcuni settori di attività sono per natura più a rischio di altri, come l'edilizia, i trasporti, l'attività produttiva di energia, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, il comparto farmaceutico e quello sanitario, ecc.. Di minore rilevanza saranno invece, i servizi assicurativi, quelli commerciali e quelli amministrativi o informatici. Nel processo di individuazione dei rischi di reati ambientali dovranno essere vigilati quegli ambiti in cui si avrà una presumibile compromettente connessione tra le attività dell'azienda e l'ambiente in tutte le sue componenti, ossia, la salubrità della vita degli esseri umani, la tutela della fauna e della flora, la difesa del suolo, dell'acqua, dell'aria e del clima, la tutela del paesaggio, ma anche dei beni e del patrimonio culturale. Un processo produttivo che comporta emissioni in aria o in acqua, o la produzione di rifiuti in un determinato sito, rappresenta, per esempio, un aria di rischio. Alcune tipologie di imprese possono presentare rischi ambientali delocalizzati, ad esempio in cantieri temporanei o in fase di trasporto di determinati materiali o prodotti. Gli aspetti ambientali da cui può scaturire rischio meritevole di monitoraggio con il Modello organizzativo, possono essere diretti, o indiretti. Nel primo caso essi ricorreranno quando sono originati da attività, prodotti o servizi su cui l'organizzazione ha potere di controllo diretto. È il caso delle emissioni nell'aria, degli scarichi nell'acqua, della produzione o trasporto e smaltimento di rifiuti, dell'uso e della contaminazione del terreno, dell'erosione delle risorse naturali e delle materie prime, ecc.. Gli aspetti ambientali da tenere in considerazione saranno invece indiretti quando generati da attività, prodotti o servizi sui quali l'organizzazione aziendale ha solo potere di influenza. È il caso degli investimenti sulle strutture o sui macchinari dell'impresa, della scelta dei servizi forniti, delle condotte ambientali degli appaltatori, subappaltatori e fornitori, ecc... Per quanto riguarda, invece, la realizzazione del sistema di controllo, gli strumenti di cui l'impresa si potrà avvalere per ridurre al minimo i rischi di commissione di reati ambientali potranno, per esempio, essere: il Codice etico, nella parte dedicata alla politica ambientale, ossia il documento che contiene i principi ambientali ai quali tutti i membri dell'organizzazione dovranno conformarsi; la struttura organizzativa, in termini di definizione formalizzata dei compiti e delle responsabilità dei vari soggetti che operano nell'azienda; la formazione e l'addestramento costante ed adeguato, che dovranno essere fornite al personale aziendale che opera nel comparto ambientale; i sistemi di controllo e di monitoraggio che rilevano, per esempio, le soglie, i dati quantitativi e qualitativi di emissioni o di scarico, mirati ad individuare eventuali inquinamenti ambientali. Poiché in materia ambientale il reato può essere realizzato, oltre che dai soggetti aziendali, anche da altri soggetti che collaborano professionalmente con l'impresa, il percorso di controllo deve essere posto in essere non solo nei confronti dei dipendenti e degli apicali, ma anche di tutti coloro che agiscono per conto dell'impresa, come nel caso di un azienda che si avvale di una società di trasporti per trasferire i rifiuti da essa prodotti ad un impianto di smaltimento; in queste ipotesi non è da escludere l'estensione della responsabilità all'impresa nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il reato se lo smaltimento avviene in maniera illecita. Il Modello organizzativo ambientale, pertanto, deve essere costruito in modo da prevenire anche le condotte criminose di questi soggetti. Su tale aspetto, infatti, la giurisprudenza è univoca nel sostenere che il produttore di rifiuti, qualora non provveda all'autosmaltimento, o al conferimento dei rifiuti a soggetti che gestiscono il pubblico servizio, ha il dovere di accertarsi che coloro ai quali conferisce il rifiuto per il suo smaltimento siano forniti delle necessarie autorizzazioni, e che l'omesso controllo sulla sussistenza di tale requisito comporti una responsabilità penale, quanto meno a titolo di colpa . E' bene precisare che i suddetti requisiti caratterizzano in via del tutto generica i Modelli organizzativi ambientali. Uno dei limiti più evidenti del D.Lgs 231 del 2001 è, infatti, proprio l'assenza di qualsiasi riferimento all'adozione di uno specifico Modello organizzativo ambientale ai fini dell'esonero della responsabilità amministrativa da reato. Manca, in altri termini, una norma analoga a quella che invece è contenuta nel D.Lgs 81 del 2008 in materia di sicurezza sugli ambienti di lavoro, laddove, con il combinato disposto degli artt. 30 e 16, -che richiamano la normativa sulla responsabilità degli enti- vengono, in particolare, previsti i requisiti specifici affinchè un Modello organizzativo, se ben attuato, possa esimere il datore di lavoro dall'obbligo di sorveglianza sull'operato dei sottoposti. Nulla di tutto ciò è invece previsto nel D.Lgs 231 del 2001. E' auspicabile che il legislatore colmi la mancanza evidenziata introducendo anche per i reati ambientali previsti dal D.Lgs 231 del 2001, prescrizioni specifiche, cosi come fatto in relazione al settore della sicurezza negli ambienti di lavoro. Ossia che vengano forniti i parametri necessari a poter costruire uno specifico Modello organizzativo ambientale alla stregua di quanto fatto per i Modelli organizzativi finalizzati alla tutela della sicurezza sugli ambienti di lavoro. Carente, nella normativa sulla responsabilità degli enti, è anche il richiamo alle c.d. certificazioni ambientali, ossia ai sistemi di gestione ambientale ISO 14001. Il sistema ISO 14001 attesta la conformità di un'azienda alla normativa ambientale secondo il costante adeguamento alle più avanzate tecniche disponibili, ed è finalizzato a monitorare gli impatti ambientali connessi alla propria attività, individuando un sistema di gestione che evidenzi ruoli e responsabilità, e crei procedure di controllo e verifica. Invero, le connessioni tra la ISO 14001 e i Modelli organizzativi ex D.Lgs 231 del 2001 sono evidenti, poichè la presenza del primo potrebbe rappresentare una buona base per costruire il secondo, e sarebbe stata auspicabile, da parte del legislatore, la creazione di un sistema di interazione così come è stato invece prescritto per il D.Lgs 81 del 2008, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro. Anche se le società che possiedono un Sistema di Gestione Ambientale possono fare riferimento alla documentazione già presente, il legislatore ha quindi lasciato "sole" le aziende nella ricerca di un Modello ambientale di riferimento. Pur essendo accomunati dall'approccio della prevenzione, differenze ricorrono tra i Modelli organizzativi ambientali, e i sistemi di certificazione ISO 14001, giacchè appare evidente che l'adozione di un sistema di gestione sul modello ISO 14001 non possa rappresentare automaticamente adozione di un Modello organizzativo ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs 231 del 2001. In effetti, i sistemi di certificazione ambientale hanno finalità diverse poiché non prevedono il monitoraggio delle condotte di reato dolose, previste, invece, dal D.Lgs 231 del 2001, che possono essere realizzate dai soggetti apicali o subordinati aziendali, e che potrebbero essere poste in essere in violazione del Modello organizzativo. Il Modello organizzativo è, infatti, sempre funzionale al raggiungimento dell'obbiettivo di prevenire la commissione di reati e, dunque, normalmente impone all'impresa che voglia rispettare il D.Lgs 231/2001 adempimenti specifici. In particolare, esso, non potrebbe limitarsi a favorire la riduzione dei potenziali rischi per l'ambiente di un determinato processo produttivo, in termini di efficienza e sostenibilità, -che sono requisiti del SGA-, ma dovrebbe costituire un modello di diligenza, vincolante ed autosufficiente sotto il profilo delle effettività, per i soggetti in posizione apicale e i dipendenti, eludibile in modo fraudolento . Anche la giurisprudenza, -sebbene chiamata a pronunciarsi in relazione all'idoneità dei Modelli organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro e a tracciare la distinzione tra questi e i documenti di valutazione dei rischi- ha chiarito, con un ragionamento di carattere generale che può essere esteso anche ai reati ambientali, che un Modello di organizzazione è ispirato a diverse finalità che debbono essere perseguite congiuntamente: quella organizzativa, orientata alla mappatura e alla gestione del rischio specifico nella prevenzione del reato; quella di controllo sul sistema operativo, onde garantire la continua verifica e l'effettività. Il Modello organizzativo è, inoltre, caratterizzato dal controllo delle sue prescrizioni da parte dell'Organismo di vigilanza; tale organo, autonomo e dotato di poteri disciplinari avrà il potere di applicare sanzioni ai soggetti aziendali per le rilevate inottemperanze. Pur potendosi ragionevolmente affermare che un SGA, efficacemente progettato, costituisca già un importante intelaiatura per la creazione del Modello di organizzazione e gestione ambientale, occorre però chiedersi come possa essere utilizzato il SGA nella prospettiva di farlo diventare concretamente operativo anche ai fini della stesura di un efficace Modello organizzativo. Tale obbiettivo potrà essere, per esempio, raggiunto: in primo luogo, potenziando il controllo ambientale a mezzo di una maggiore individuazione, misurazione e quantificazione dei rischi ambientali, nella prospettiva della prevenzione del rischio reato. Dovrà, inoltre essere rafforzata la politica ambientale contenuta, per esempio, nel Codice etico e trasformarla da politica fondata sull'enunciazione di meri principi, a un documento che preveda la concreta osservanza di regole da parte del personale aziendale, posto che i protocolli che saranno poi contenuti nel Modello organizzativo devono costituire l'effettiva messa in atto dei principi contenuti nel Codice etico. Un efficace sviluppo degli obbiettivi di utilizzazione del SGA come base per sviluppare un efficace Modello organizzativo, dovrà, inoltre, tener conto delle risorse finanziarie destinate a prevenire la commissione di reati. Il loro rilievo è, infatti, sancito dall'art. 6 comma 2, lett. c) del D.Lgs 231 del 2001, che prevede l'individuazione di modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati. Quale ulteriore passo necessario al fine di sviluppare un buon Modello organizzativo ambientale, partendo dal SGA, dovrà essere redatto e ufficializzato l'organigramma aziendale, ivi precisando quali siano i soggetti presenti nell'assetto organizzativo e individuandone le relative responsabilità. Attraverso, quindi, una rielaborazione del SGA, nei termini su descritti, si potrebbe ottenere il risultato, da un lato, di sviluppare un efficace Modello organizzativo ambientale e, dall'altro, di migliorare le garanzie che lo stesso SGA dovrebbe offrire per scongiurare eventuali rischi ambientali, anche a prescindere dai requisiti del D.Lgs 231 del 2001.

Avv. Michele Arabia