Modelli organizzativi e organismo di vigilanza nel d.lgs 231 del 2001 avente ad oggetto la responsabilita’ da reato degli enti

Rivista Confindustria Catanzaro Informa, anno XI, n. 4

Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una forma di responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni per i reati commessi dalla persona fisica nell'interesse o a vantaggio dell'ente collettivo. Questo importante testo normativo si inserisce nel solco di un'approfondita riflessione che ha impegnato negli ultimi decenni la dottrina penalistica internazionale. Gia da tempo anche nel nostro paese si era sviluppata una autorevole dottrina favorevole a prevedere forme di responsabilità per le persone giuridiche, anche al fine di contrastare più efficacemente il sempre più diffuso fenomeno della criminalità d'impresa. In ragione della sempre più evidente tendenza della persona giuridica, o comunque delle compagini aziendali intese in senso lato, a rendersi protagoniste di forme di criminalità particolarmente insidiose, si è assistito ad un progressivo ridimensionamento del principio societas delinquere non potest . Questo equivale a dire che, oltre alle persone fisiche, gli enti collettivi rispondono, ora, in proprio davanti alla giurisdizione penale qualora un dirigente e/o dipendente abbia commesso un reato nell'interesse della persona giuridica tra quelli ricompresi in un elenco che viene periodicamente aggiornato e che, a modo di esemplificazione, contiene i reati societari, quelli contro la pubblica amministrazione, le frodi ai danni dello Stato o della UE, nonchè, i delitti di omicidio e lesioni colpose conseguenti ad infortuni sul lavoro qualora vi sia una corrispondente violazione della disciplina prevista in tema di sicurezza sull'ambiente del lavoro.

Le disposizioni del decreto si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica e non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonchè agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. La peculiarità che contraddistingue la finalità sanzionatoria in capo ai soggetti destinatari indicati va ravvisata nella repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica, e cioè assistita da fini di profitto, con la conseguenza di escludere tutti quegli enti pubblici che, seppur sprovvisti di pubblici poteri, perseguono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative .

Per quanto riguarda gli enti dotati di soggettività pubblica sono ovviamente esclusi lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri, e dunque, le Regioni, le Province e i Comuni. Gli enti pubblici economici, invece, agendo iure privatorum vengono equiparati agli enti a soggettività privata e, pertanto, sono ricompresi nei soggetti sottoposti alla disciplina. Sono invece esclusi i c.d. enti pubblici associativi, quali ad esempio, l'ACI, o la Croce Rossa Italiana, nonché risulterebbero esenti gli enti pubblici che erogano pubblici servizi, quali le Università pubbliche o le Aziende Ospedaliere. Sulle ultime, tuttavia, e bene far presente come ricorrano diversità di opinioni in ordine alla loro esclusione dalla responsabilità o meno. Dal tenore del dettato legislativo si rileva che la disciplina non possa applicarsi all'imprenditore individuale, in quanto esso non può rientrare nel concetto di ente o in quello di associazione o società.

Il metodo principe per poter attribuire il fatto illecito all'ente è rappresentato dal rapporto di carattere organico sussistente tra la persona fisica autrice del reato e la compagine aziendale. Secondo tale impostazione, la persona giuridica concorrerebbe nel reato commesso dalla persona fisica, avendone agevolato colposamente la realizzazione con la sua carente organizzazione interna, ossia con l'omesso controllo dell'operato dei suoi dipendenti o funzionari. Al fine di dimostrare la colpevolezza quale espressione diretta dell'elemento volitivo dell'ente si è prospettata la teoria della c.d. colpa di organizzazione, che emergerebbe dal deficit di direzione e controllo da cui scaturisce l'occasione di reato perpetrato dal dipendente o funzionario della società. In altre parole, l'ente sarebbe da considerare responsabile in ragione della responsabilità colposa per non aver impedito, o saputo impedire, un reato doloso o colposo, la cui commissione è legata alla mancata predisposizione di un apparato preventivo idoneo ed efficace in rapporto alla tipologia di reati da prevenire. Occorre aggiungere che l'ente non risponde qualora il soggetto abbia agito nell'esclusivo interesse proprio o di terzi: nella previsione legislativa assume rilievo, quindi, la situazione in cui la persona giuridica sia completamente estranea alla vicenda illecita perchè l'autore del reato ha perseguito interessi esclusivamente propri.

I soggetti qualificati che possono far chiamare in causa l'ente per la loro condotta, sono coloro i quali rivestono, all'interno della compagine societaria, una posizione apicale e coloro i quali, invece, si trovano in posizione subordinata ai primi. La formula elastica utilizzata dal legislatore per individuare i c.d. soggetti apicali si concentra, non tanto sulla qualifica formale, ma sulla funzione effettivamente svolta, consentendo, in tal modo di individuare quei soggetti che, nell'ambito delle proprie mansioni, sono in grado di esercitare un vero e proprio dominio sull'ente o su una sua unità operativa .

Nella categoria dei soggetti subordinati, rientrano, invece i lavoratori dipendenti, i collaboratori esterni alla persona giuridica, gli agenti che rivestono un rapporto inerente alla distribuzione, i concessionari di vendita ecc... ; vale a dire chiunque si trovi ad operare nell'ente in una posizione anche non formalmente inquadrabile in un rapporto di lavoro subordinato, purchè sottoposto alla direzione o vigilanza dei soggetti apicali .

I Modelli organizzativi

L'art. 6 del testo legislativo introduce una sorta di esonero da responsabilità dell'azienda se si dimostra, in occasione di un procedimento penale per uno dei reati considerati, di aver adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati previsti al decreto medesimo. Essi hanno duplice funzione, giacchè se adottati ex ante funzionano come scriminante, se adottati ex post funzionano come una sorta di ravvedimento.

Sotto il primo profilo l'ente collettivo assumerà, in un certo senso, la posizione di coprotagonista di un complesso e raffinato programma, inteso a predisporre freni e controindicazioni finalizzate all'espandersi del rischio criminale . In tali termini, l'adozione del protocollo ante delictum sarebbe tesa ad esprimere la cultura di legalità che dovrebbe caratterizzare la politica d'impresa di tutti gli enti collettivi.

Qualora, invece, i Modelli vengano adottati successivamente alla commissione del reato, il legislatore, attraverso un insieme di norme "di favore", ha ritenuto di conferire un riconoscimento alla societas che pone in essere un comportamento che integra un controvalore rispetto alla condotta delittuosa realizzata. Tramite i detti Modelli viene effettuato un monitoraggio sui punti di rischio per mezzo di procedure documentate, nelle quali si definiscono metodi, responsabilità e moduli da compilare. Ciò significa che i protocolli organizzativi, affinché possano efficacemente raggiungere lo scopo preposto, devono, da un lato, prevedere e gestire il rischio aziendale legato all'eventuale commissione dei reati presupposto, dall'altro prevedere delle regole e dei contenuti finalizzati a prevenire gli stessi fatti illeciti. Dopo aver individuato, in seno all'attività dell'ente, i settori produttivi più sensibili, il Modello dovrà prevedere il requisito della trasparenza della contabilità e delle operazioni aziendali. Ciò vorrà dire che ogni operazione dovrà essere giustificata documentalmente in modo che in ogni momento si possa procedere all'effettuazione di controlli che attestino le caratteristiche e le motivazioni dell'operazione, nonché il soggetto che l'ha promossa . Le due fasi principali attraverso le quali si creano i modelli sono, quindi, quella della identificazione dei settori aziendali a rischio reato e quella della progettazione del sistema di controllo. Nella prima fase si deve analizzare il contesto aziendale per individuare le probabilità e le modalità di commissione dei reati, mentre nella seconda fase si progetta il modello tenendo conto degli eventuali strumenti di controllo interni gia esistenti.

Alla stregua di tali presupposti, un buon Modello di organizzazione sarà quello formato dai seguenti componenti:

• codice etico di comportamento con riferimento ai reati presupposto;

• adeguato sistema organizzativo interno, chiaro sopratutto per la parte attinente all'attribuzione di responsabilità, alle linee di dipendenza gerarchica e alla descrizione dei compiti;

• predisposizione di procedure manuali e informatiche di controllo con una razionalizzazione dei poteri autorizzativi e di firma;

• adozione di un sistema di controllo di gestione efficace, con l'individuazione di adeguati indicatori di rischio;

• adeguata comunicazione al personale e sua formazione con riferimento particolare al codice etico;

L'adozione di un Modello deve essere inteso come un opportunità che il legislatore attribuisce all'ente, finalizzata alla possibile esclusione della sua responsabilità.

I Modelli organizzativi possono essere adottati sulla base delle indicazioni contenute nelle linee guida redatte dalle associazioni rappresentative di categoria; tali indicazioni, tuttavia, seppure dotate di riferimenti specifici e concreti in relazione al settore di attività preso in considerazione, dovranno essere intese come un quadro di riferimento e non esauriranno le cautele che possono essere adottate dai singoli enti nell'ambito dell'autonomia di scelta dei modelli organizzativi ritenuti più idonei.

L'Organismo di vigilanza

L'art. 6 del D.lgs 231 del 2001 richiede, per l'esonero da responsabilità dell'ente, non solo l'adozione e la concreta attuazione di modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati presupposto, ma anche di aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza del modello e di curarne l'aggiornamento ad un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.

L'Organismo di vigilanza è chiamato a svolgere prevalentemente compiti di vigilanza e verifica dell'adeguatezza del modello, analisi sul mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del modello ed eventuali aggiornamenti che si dovessero rendere necessari, ragion per cui anche il più completo documento di organizzazione e controllo, non potrà essere considerato idoneo senza l'attuazione delle prescrizioni affidategli. L'Organismo di Vigilanza può avere varie configurazioni: nel caso di gruppi di imprese o in quelle di grandi dimensioni esso può essere costituito come un organismo pluripersonale, di cui fanno parte amministratori indipendenti o professionisti esterni con le necessarie autonomie di gestione e professionalità. Potrà, altresì, essere costituito da un unico componente nelle imprese di piccole dimensioni. In tal caso, spesso vi sarà coincidenza tra amministratore dell'azienda e Organismo di Vigilanza.

In estrema sintesi le attribuzioni dell'Organismo di Vigilanza, e dunque le attività che esso è chiamato a svolgere sono:

• vigilanza sull'effettiva applicazione del modello;

• verifica dell'adeguatezza del modello;

• cura dell'aggiornamento del modello in caso di modifiche della struttura societaria o di commissione di reati;

I requisiti in capo all'Organismo di Vigilanza e dei suoi membri sono:

• autonomia ed indipendenza;

• professionalità;

• continuità d'azione;

Considerazioni critiche e progetto di modifica del testo normativo

Vi è una generalizzata opinione secondo la quale la normativa che ci occupa merita una rivisitazione da parte del legislatore finalizzata a superare le incertezze che in più parti del decreto possono essere rilevate. La stessa prospettata recente modifica dell'art. 6 del D.Lgs 231 del 2001 non appare idonea a superare gli scogli interpretativi della responsabilità degli enti. Secondo l'art. 7 bis del disegno di legge modificativo, il Modello organizzativo dovrebbe essere certificato, e ciò dovrebbe consentire di superare la discrezionalità prevista in capo all'organo giudicante nella valutazione di idoneità ed efficacia dei modelli. La modifica del testo legislativo prevede che la regolare certificazione di idoneità rilasciata da soggetti pubblici o privati, individuati da un regolamento ministeriale, dovrebbe bastare per escludere la responsabilità dell'ente. Nello stesso tempo, l'art. 7 bis subordina, però, l'efficacia scusante alla circostanza che il modello, concretamente attuato corrisponda a quello certificato. Il altri termini, il protocollo organizzativo, pur certificato, dovrà pur sempre essere sottoposto all'esame del giudice quanto alla sua efficace attuazione. Se questo è il significato da assegnare al progetto di modifica, allora, in primo luogo, gli enti non mancheranno di ricorrere in massa a questo nuovo "salvacondotto", più apparente che reale; in secondo luogo, la sorte della loro responsabilità per i reati commessi dai soggetti individuali resterà comunque affidata all'apprezzamento discrezionale dell'organo giudicante, a meno che non sia questi ad autolimitare il proprio potere per pigrizia, affidandosi per intero- quasi si trattasse di una perizia- alla certificazione di idoneità dei soggetti abilitati . Se così sarà non è dato comprendere quali benefici potranno arrecare le suddette innovazioni in termini applicativi della normativa.

Ad avviso di chi scrive l'esperienza giudiziaria finora maturata, registra luci ed ombre in ordine all'applicazione pratica del D.Lgs 231 del 2001 nei suoi aspetti sostanziali e procedurali. Lo stesso testo legislativo figura applicato a macchia di leopardo dalle procure dei tribunali, nonostante l'uniforme esigenza sentita su tutto il territorio nazionale. Se si vogliono combattere efficacemente le crescenti forme di illegalità economica sarà necessario imprimere alla legge in esame delle forti innovazioni idonee a superare le incertezze finora riscontrate, che, di certo, non appaiono eclissate dalle poche pronunce di legittimità, per lo più limitate al settore cautelare delle decisioni dei giudici di merito.

Avv. Michele Arabia